THE DOCTOR FALLS, recensione di Dalek Oba
Il Dottore fissa un cielo olografico, proiettato sul freddo tetto di una nave, e pensa che avrebbe voluto vedere le stelle, prima di morire.
Il Dottore potrebbe rigenerarsi. Avrebbe potuto rigenerarsi molto prima, dopo il primo attacco dei Cybermen, cambiare e guarire in un secondo. E invece arranca, zoppica, annaspa e trattiene a forza tutta quella energia che vorrebbe a tutti i costi vederlo in salute. Perché ha imparato a cambiare senza bisogno di una rigenerazione. Ha assunto quel volto per un motivo, per ricordarsi chi sarebbe dovuto diventare, ed è stato un percorso lungo e difficile e pieno di dubbi (“Am I a good man?”), ma lo ha portato a essere esattamente chi voleva essere, dove deve essere, e dove è destinato a cadere. Perché preferisce morire piuttosto che tradire di colpo tutto ciò che ha ottenuto. È terrorizzato ed è stufo di dover cominciare tutto da capo. È già una rigenerazione oltre quelle originarie, e forse è una rigenerazione oltre quelle che riesce a sopportare. Non solo. Ha visto cambiare troppe persone attorno a lui. Troppi volti. Ha dovuto dimenticare quello di Clara, ha visto quello di Bill trasformato in modo orribile, ha osservato il suo amico/nemico con due facce diverse, tra cui era divisa una mente sola, in perenne conflitto, instabile e mutevole.
Il Dottore fissa un cielo olografico, proiettato sul freddo tetto di una nave, e pensa che avrebbe voluto vedere le stelle, prima di morire. Non vede arrivare Bill, ha già chiuso gli occhi. Bill ferita, straziata, trasformata orribilmente e privata di ogni cosa che la faccia sembrare e sentire se stessa, eppure ancora così… Bill, anche lei aggrappata alla sua vita, al suo essere come vuole e non come la vorrebbero gli altri, perché le hanno tolto quasi tutto, ma quel poco che è rimasto è suo, e nessuno glielo potrà portare via.
Perché, anche senza sapere praticamente cosa stava facendo, ha salvato il Dottore, fino a portarlo in braccio al sicuro. Perché non importa cosa mostrano gli specchi, lei continuerà a vedersi com’era. Perché i Cybermen le hanno dato armi che lei non voleva, e che impara a utilizzare contro di loro.
Perché il suo desiderio di morire se non può essere se stessa è, quasi in modo paradossale, un enorme atto di autoaffermazione.
Il Dottore fissa un cielo olografico, proiettato sul freddo tetto di una nave, e pensa che avrebbe voluto vedere le stelle, prima di morire. E di stella ne arriva solo una, arriva dall’acqua ed è racchiusa in un occhio; è solo una, ma è sufficiente: salva Bill, e salva il Dottore stesso. Finché ci sono lacrime, c’è speranza.
Bill che vola via tra le stelle insieme a Heather è un finale glorioso, l’epilogo che mi auguravo per lei – per loro – più o meno dal primo episodio, ma credevo che sarebbe stato solamente un mio desiderio irrealizzabile, una teoria speranzosa e un po’ romantica. Avete tutto il tempo e lo spazio a disposizione ragazze, siate felici.
Il Dottore fissa un cielo olografico, proiettato sul freddo tetto di una nave, e pensa che avrebbe voluto vedere le stelle, prima di morire. Qualche livello più in su, uno strano alieno di nome Nardole aspetta davanti alla porta di un ascensore due amici, anche se sa che non li rivedrà più. Ha nuovi amici, adesso, altre persone con cui vivere e di cui prendersi cura, ha un compito immane e coraggioso da portare avanti, ma è diventato abbastanza forte per svolgerlo al meglio. Nardole is (secretly) a badass. Vorrei solo che sapesse che i suoi amici, in un qualche strano modo, sono salvi.
Il Dottore non fissa più un cielo olografico, ma è più che mai deciso a lottare contro il cambiamento.
“Do not go gentle into that good night. /Rage, rage against the dying of the light.” E il Dottore di certo non è delicato, si arrabbia, urla e blocca la rigenerazione a forza di pugni, quasi “spegnendola” nella neve gelata. È già una rigenerazione oltre quelle originarie, ma allo stesso tempo è anche alla prima rigenerazione del nuovo ciclo, è quasi come se fosse la prima volta. E quindi non è un caso che il Tardis non lo porti dove vuole andare, ma dove ha bisogno di essere. Anche il Dottore, talvolta, ha bisogno… del Dottore. Di quello originale, del Primo che, grazie a uno straordinario David Bradley, mantiene finalmente la sua promessa di ritornare. Sarà un Natale certamente triste, ma memorabile.
L’epilogo, come di consueto, è per il Maestro.
…quasi per il Maestro. È per raccontare una storia. La storia di una persona che più di cinque anni fa, guardando una serie tv, ha scoperto quasi per caso un attore. Appariva in sole cinque puntate, ma in qualche modo le era rimasto in testa. Un attore che aveva poi rivisto, sempre quasi per caso, in un’altra serie, poliziesca, però sovrannaturale, però anche period drama.
Questa persona nel corso dello stesso anno aveva poi compiuto follie misurate come ordinare un dvd in inglese con sottotitoli inglesi (senza avere ancora una dimestichezza sufficiente con il linguaggio), per vedere una miniserie che – affronto! – non era mai arrivata in Italia. Follie misurate come andare all’ultimissimo spettacolo serale di un festival cinematografico per vedere un determinato film. Tutto per quell’attore.
È la storia di come ho conosciuto John Simm, di come seguire la sua carriera mi abbia fatto scoprire opere meravigliose, e di come il suo ritorno nei panni del Maestro sia stato fantastico. Lui è stato fantastico.
Un’ultima cosa. Da qualche parte, sul fondo di un’astronave troppo vicina a un buco nero, c’è un Tardis un po’ malandato. Dentro c’è una donna. È vestita di nero, ma in qualche modo sa che in futuro preferirà il viola. E gli ombrelli abbinati. Non sa bene come sia arrivata fin lì – o addirittura se esistesse prima di arrivarci – ma ne sa abbastanza per riuscire a scappare. Una strana signora l’ha sbattuta (…sbattuto???) contro un muro e ha spiegato come fare.
C’è un grande vuoto che circonda gli ultimi giorni della sua vita, i suoi ricordi. Sa di avere un amico. No, anzi, aveva un amico. Il suo migliore amico. Ed è sicura che lui voglia in qualche modo riallacciare i rapporti, non sa come, ma i Cybermen devono c’entrarci qualcosa, in qualche modo. Potrebbe fargli un regalo, tanto per cominciare.
Probabilmente io e questa strana signora, questa Lady, non ci incroceremo mai. Peccato, perché vorrei dirle alcune cose. Poche, ma importanti.
Non posso dirle che andrà tutto bene, perché mentirei. Però le posso assicurare che il suo migliore amico le vuole bene, per davvero, e crederà in lei. Che commetterà degli errori, un sacco di errori, ma alla fine – in extremis – saprà cosa fare. Che giurerà sulla sua amicizia a ogni costo, senza speranza, testimoni o ricompensa alcuna, e riuscirà a mantenere il suo giuramento. E le posso assicurare che, in ogni singola parte del suo viaggio, sarà fantastica.
So long, Missy.