EXTREMIS, recensione di Six
Stewie ci ha regalato, senza dubbio, un metà stagione particolare: riassumendo la trama, il Dottore riceve una mail, grazie ai propri occhiali sonici che compensano parzialmente per la sua cecità, permettendogli di vedere i contorni delle strutture, ma non di esseri viventi, nella quale è contenuta una registrazione proveniente da un proprio alter ego virtuale dentro a una simulazione. Infatti una razza aliena, che chiameremo i Monaci, per comodità, ha riprodotto l’intero universo fedelmente in modo da fare le prove generali per invadere la Terra. La fedeltà arriva al punto da replicare le infatuazioni di Bill, gli sbalzi di character design di Nardole, la cecità del Dottore e persino i buchi narrativi, come il TARDIS che traduce ogni linguaggio, ma solo quando gli gira, anche in modo di non privare gli spettatori dello splendido accento italiano del Papa – che ritorna nostrano dopo 40 anni almeno, a quanto pare – degne di Tony Falcone o di Joey Tribbiani. Il concetto di fondo è degno di un fumetto di Dylan Dog: esiste un libro che contiene un segreto talmente agghiacciante da spingere chiunque al suicidio, il Veritas. Questo segreto è proprio che l’intera realtà è una simulazione. Impotenti di fronte a questa nuova realtà – falsità – i malcapitati si tolgono la vita come estrema ribellione e in modo da non essere sfruttati dai Monaci. Persino Virtual Nardole e Virtual Bill scompaiono e solo il Dottore, nell’ufficio del proprio diretto sottoposto, il presidente degli Stati Uniti, resta a confrontarsi con il nemico. Il Dottore non simulato, di fronte a questi fatti, avvisa Bill e Missy – sì, poi ci torno – dell’imminente invasione, cominciando la resistenza.
C’è davvero tanto da dire a cominciare da Missy e dal Vault, che vengono narrati in un flashback ricorrente nella puntata: a quanto pare è proprio la regina delle seconde banane a essere rinchiusa dentro quello che si direbbe un manufatto Gallifreyano e che, invece, pare arrivare da un pianeta che posso al massimo ricondurre a Peladon (architettura medievale, cielo cupo e plumbeo) ed è, altrimenti, del tutto nuovo nel Whoniverso. Questo luogo, qualunque sia, è abitato da una civilissima razza di boia, che sperimentano tecnologie all’avanguardia per garantire una esecuzione efficace di qualunque cliente. Missy è la condannata e, per ragioni tanto ovvie quanto arbitrarie, serve il Dottore per mettere in atto la sentenza; eccetto che, grazie anche all’intervento di Nardole che pare essersi ricongiunto al Dottore in seguito agli eventi di “The Husbands of River Song”, decide di tenerla imprigionata nel Vault per un migliaio di anni.
Piccola parentesi su Nardole: più la storia va avanti, meno torna. L’idea è che il nostro signore Hydroflax gli abbia staccato il corpo dalla testa – non il contrario – e che poi il Dottore abbia ricostruito il suo corpo come cyborg, in modo da non restare solo, tra “The Husbands of River Song” e “The Return of Doctor Mysterio”: come può, allora, presentarsi di fronte al Dottore già deambulante, se pare chiaro che questo sia il ricongiungimento tra il secondo più grande fan di Peter Davison (il primo è Tennant) e il pazzo con la cabina?! Non dico che non sia spiegabile: dico che ci deve essere sotto qualcos’altro… o resterà un plothole.
La presenza – metaforica – di River è potentissima nella puntata, arrivando a inserire il diario di River persino nel confronto finale tra Virtual Doctor e Monaci, come se Moffy cercasse il feel pregresso a tradimento: onestamente, la storia della notte di Darillium mi ha stancato come se avessi potuto vedere i 24 anni di persona.
Non prendete male le mie frecciate, però: la puntata è davvero notevole! La TARDIS crew è interpretata in modo superbo, dal Capaldi migliore di sempre a una Bill che spacca il quadro camera a un Nardole che, incredibilmente, rende bene persino quando si atteggia a duro! È inoltre oltremodo ambiziosa, cercando di spaziare su più elementi, dalla svolta alla trama orizzontale che svela – forse – il proprio segreto più misterioso, a una puntata dove, tecnicamente, non succede nulla a un ennesimo sviluppo del rapporto tra 12th e Missy, ormai dichiaratamente amici per la pelle. Sigh. In ogni caso sono ben 8 cammelli dorati pieni e un pacchetto di attacca-stacca di animali assortiti per decorare il vostro Veritas.
Ho ancora due cose da dire: la prima riguarda la mia teoria, quella di un dottore a puntata. Dopo 5, 7, 6, 1 e 4, sono combattuto tra 8 e 11. Se è vero che i riferimenti a River, la Chiesa, il tema del nome del Dottore che mette in fuga gli uomini più impavidi e una trama riconducibile a “The Bells of Saint John” puntano all’uomo stropicciato, dopo una settimana di cecità (senza occhiali sonici), ho finalmente visto le cose da un punto di vista meno letterale e più aperto: la storia comincia con il Maestro condannato a morte dai Dalek – lì abbiamo lasciato Missy e lei li nomina apertamente – con il Dottore incaricato di curare le sue spoglie e che la riporta sulla Terra. Aggiungi un ricorrente tema gotico e, perché no?, la difficoltà di inquadrare la storia esattamente come canon e hai un omaggio alla fluttuante parrucca di Paul McGann, Ottavo Dottore e del suo decisamente anni ’90 film.
Ultima considerazione: nonostante il tentativo di spargere inquietudine verso il mondo videoludico sia, se non altro, gratuito e autocelebrativo (non è che perché ci sei riuscito con statue, ombre e lenzuola, ora puoi rendere inquietante tutto, Stewie), la puntata ci riporta a “Last Christmas” con una morale importante. Non è necessario esistere, per essere il Dottore, finché non ti dai mai per vinto. È un tema che, per me, significa davvero tanto e che lascia lo spettatore in capo a una decisione: o ha passato 40 minuti della sua vita – già ridicolmente breve, poveri umani! – a guardare una puntata in cui il Dottore controlla la posta elettronica, oppure è costretto ad ammettere che il Virtual Doctor non sia meno il Dottore del Dottore reale. E, fare un passo in là, significa ammettere la medio proporzionalità tra quest’ultimo e il nostro mondo. Se il Dottore virtuale è il Dottore quanto quello davanti al Vault, allora quest’ultimo è reale quanto lo siamo noi. Se puoi credere a tutto questo, allora puoi anche credere che una storia, se buona, possa salvare l’universo.
E, naturalmente, continuiamo a credere a Falcoman!