EXTREMIS, recensione di Dalek Oba
“Without hope, without witness, without reward. Virtue is only virtue in extremis”. Moffat, oltre a regalarci un’altra di quelle frasi che probabilmente entreranno nella storia di Doctor Who, la utilizza come una dichiarazione di intenti su quello che vuole essere l’episodio, e su quello che dovrebbe essere anche il Dottore stesso, “virtuoso” (o, semplicemente, “buono”) anche e soprattutto nel momento di massima difficoltà, fino alla fine, senza secondi fini. In questo ricorda molto il significato dato al nome “Doctor” nello speciale del cinquantenario: “Never cruel or cowardly. Never give up. Never give in”. Questa volta però non è semplicemente un imperativo morale, bensì una descrizione del Dottore scritta da una River Song che non appare mai nell’episodio, ma che è al tempo stesso sempre presente, come un monito: il suo vedere il Dottore in un certo modo non solo lo spinge a comportarsi di conseguenza, ma gli dà anche una chiave per agire nel modo corretto. Che sia il Dottore reale o quello virtuale non importa, l’importante è mantenere fede ai propri valori. E il Dottore lo fa, in entrambi i mondi.
A proposito… il plot twist alla Matrix era tipo l’ultimissima cosa a cui avrei pensato. Ci sono dei dettagli sottilissimi che lo potrebbero far capire ma… ovviamente si notano solo a posteriori. È un indiscusso colpo di genio, di quelli che mi ricordano perché amo tanto questa serie. Extremis è il primo episodio di una trilogia, per cui in sostanza il suo compito sarebbe semplicemente quello di introdurre la vicenda e condurre i personaggi verso situazioni mostrate negli episodi successivi. E assolve il compito in modo egregio però, allo stesso tempo, riesce anche a creare una trama interna all’episodio, che si risolve nell’episodio stesso. Questa struttura mi ha ricordato Utopia, che era anch’esso il primo di un trittico.
E poi, finalmente, il Vault. Vi ricordate The Name of the Doctor? Quando per tutto l’episodio abbiamo pensato che il punto fosse il vero nome del Dottore, per poi renderci conto alla fine che non era tanto importante il nome che gli è stato dato, quanto il nome che si è scelto; non il nome del Dottore, ma il nome “Dottore”.
Ecco, Moffat lo ha fatto di nuovo. Dopo più di un mese passato a scervellarci su CHI ci fosse dentro al Vault, viene fuori che la risposta è sempre stata ovvia: Missy. Come avrebbe potuto non essere Missy. Perché il vero punto era mostrarci COME ci è finita dentro e, spero, come questo influirà sulle scelte future del Dottore. Le chiederà di aiutarlo? Potrà farla uscire? Quanti dei mille anni sono effettivamente passati?
I flashback sul pianeta delle esecuzioni sono assolutamente splendidi e, a mio parere, vanno tenuti in considerazione per quanto potrebbe avvenire in futuro. Innanzitutto, ho trovato molto ben studiato l’iniziale momento di sapiente confusione in cui non si capisce quale Time Lord stia per essere ucciso, e come la palese bellezza del luogo strida con il suo effettivo utilizzo. Per quanto il Dottore non abbia palesemente intenzione di uccidere Missy e abbia già un piano per evitarlo – credo che nessuno di noi abbia messo in dubbio che sarebbe sopravvissuta – comunque ci sono anche numerosi tentativi esterni di fermarlo. Prima arriva Nardole, mandato apposta da River Song per ricordargli della sua “virtue in extremis”, poi la stessa Missy lo prega di salvarla, citando le parole della stessa River, chiedendogli di “insegnarle a essere buona”. È una situazione che mi ha ricordato molto quella tra Simm e Tennant al termine della terza stagione, solo che, mentre il Maestro aveva preferito la morte alla redenzione e a una vita con il Dottore, Missy ribalta completamente la scelta fatta. Per quanto a me sia sembrata assolutamente sincera nei suoi scambi con il Dottore… bisogna vedere se manterrà la sua parola o meno.
NOTE SPARSE:
– da italiana e “italofona” mi ha divertito molto sentire usare la nostra lingua in Doctor Who, tanto più che a un certo punto chiamano il Doctor “Dottore”. Alcuni degli attori erano effettivamente italiani, quello che interpreta il Papa (Joseph Long, che era già stato il coinquilino di Donna Noble in Turn Left) è per metà italiano e per metà inglese e talvolta “inciampa” un po’ con le parole. Però in effetti potrebbe benissimo interpretare un Papa non italiano che usa la nostra lingua per abitudine, quindi non l’ho trovata un’incongruenza così grave.
– Il mondo simulato in cui avviene la maggior parte dell’episodio ha alcune differenze rispetto a quello reale. L’esempio più palese è che Bill non è ancora realmente uscita con Penny. Di conseguenza, il Dottore ha usato il dispositivo per riavere la vista solo nella realtà virtuale e la cosa non dovrebbe avere effetti sulle sue rigenerazioni future. A meno che non decida di usarlo per davvero.
– Nardole “badass” e comunque competente ad affrontare la situazione anche senza il Dottore mi è piaciuto molto. In generale, sto rivalutando il personaggio.
– Sono effettivamente contenta che Bill non sia uscita con Penny per davvero, perché… ehm, non è finita nel migliore dei modi. Spero che abbia la possibilità di un appuntamento vero, senza Papa che spunta all’improvviso. E comunque, quanto è stato adorabile il Dottore nel convincerla a chiamare Penny, e senza perdere tempo? In generale Twelve mi sembra molto più a suo agio nel parlare di relazioni sentimentali e affini… probabilmente gli anni su Darillium hanno aiutato.