DWOT 01/06/2020 – quello sul Dottore che ricorderemo per sempre

È infine scoccata l’undicesima ora anche per Discussing the Wonders of Our Tale. Russell passa la torcia a Steven Moffat, dimostratosi pieno di talento in diverse puntate considerate tra le migliori. Moffat chiede a David Tennant di restare, ma l’attore decide di non tornare per la stagione 5; tanti nomi passano tra i possibili candidati, inclusi Sean Pertwee, Catherine Zeta Jones e la stessa Billie Piper, ma alla fine la scelta cade su un nome: Matt Smith. Destinato a sorpassare Peter Davison come Dottore più giovane della storia, Matt prende il ruolo ad appena 26 anni, con poca esperienza recitativa, carriera a cui si è avvicinato dapprima con scetticismo, dopo aver interrotto quella calcistica per infortunio. Dovendo cambiare Dottore, lo show decide di mettere in atto un soft reboot e la quinta stagione diventa virtualmente una nuova prima: non è necessario sapere nulla dello show per cominciare a vederlo, tutti i personaggi vengono presentati da zero, sia il Dottore che i companion, con la sola eccezione di River che però è introdotta a sufficienza. Ci sono stati alcuni tentativi di ricollegarsi maggiormente alle prime stagioni, come invitare John Barrowman per A Good Man Goes to War, dove invece Jack Harkness è stato rimpiazzato da Maldovar e il cinquantesimo non ha visto il ritorno di Christopher Eccleston, ma solo di Tennant. Questo isolamento ha giovato però agli ascolti: in particolare la serie ha avuto una crescente popolarità negli Stati Uniti, dove il papillon di Smith ha fatto stragi di cuori. La vera aggiunta allo show è stato però l’utilizzo prevalente di una trama orizzontale, presentata tramite una serie di dettagli che si collegano in un’ottica più ampia, invitando a riguardare gli episodi per cercarli. Questo vorrebbe dire scrivere una mini recensione di ogni episodio di tre stagioni, nonché tentare di rimettere in ordine gli eventi della trama orizzontale, che non si dispiegano in parallelo con le stagioni, ma anzi partono dall’ultima puntata di Smith, The Time of the Doctor. Allungherebbe moltissimo questo articolo, perciò vi lascio la prima stesura qui, se siete interessati, mentre intendo passare direttamente all’analisi.

E qui però le cose diventano più complicate!

Innanzitutto, dalla quinta stagione cominciano a essere presenti molti più episodi che non brillano di luce propria: Victory of the Daleks, The Vampires of Venice, The Lodger, The Curse of the Black Spot, Let’s Kill Hitler, Night Terrors, Closing Time, The Doctor the Widow and the Wardrobe, Dinosaurs on a Spaceship, A Town Called Mercy, The Power of Three, Cold War, Hide e persino Nightmare in Silver hanno una schiera di oppositori pronti a elencarne i difetti. Devo dire però che tutti hanno retto il rewatch e che anche le retrocensioni che stiamo portando avanti sono positive e in generale non ritengo nessuno un vero e proprio brutto episodio, semmai meno memorabile. Le critiche più pesanti di alcuni youtuber vanno alle ultime puntate, The Name of the Doctor e The Time of the Doctor, dove le rivelazioni fatte per chiudere sottotrame vengono ritenute da alcuni insoddisfacenti. La puntata che doveva rivelare il nome del Dottore, svela invece la presenza di un’incarnazione segreta (che poi non capisco cosa si aspettavano, una rosa con un altro nome avrebbe lo stesso odore) e quella che doveva dare una spiegazione a ogni cosa, si concentra invece sulla storia del Dottore che difende Trenzalore per novecento anni, mostrati attraverso un montaggio con elementi comici, come sontaran imbranati che si fanno saltare in aria o un minaccioso Angelo Piangente che vediamo riflesso in uno specchio donato “con amore dal Dottore”. Personalmente se mi mostri l’Undicesimo che difende bambini dai mostri e nel tempo libero ripara loro giocattoli, io non posso che essere contento! Sì, l’origine del Silenzio e dei suoi confessori, come possa ancora esistere la Crepa e altre risposte mancanti vengono fornite tramite esposizione, ma secondo me avviene in dialoghi più o meno naturali, non sarebbe stato interessante veder finire l’era di Smith con un documentario. Moltissimi dicono che Russell T Davies fosse uno scrittore che mette prima i personaggi e Moffat uno che antepone le storie. Secondo me è una lettura vera, ma superficiale e che soprattutto si può fare se non si abbraccia la filosofia di queste stagioni. La verità è che l’era di Smith è fatta di più parti: lo spettacolo, la storia è i personaggi.

A scaletta porta sfortuna! Tra l’altro non si nota subito quanto sia più alto il nuovo Dottore perché anche Karen è sul metro e ottanta!

C’è un’enfasi innegabile sulla connessione di quasi ogni puntata alla trama orizzontale, facendole sembrare tessere di un puzzle: in realtà possiamo presumere che Moffat non avesse uno schema preciso da seguire fin dall’inizio. Per esempio: da quanto tempo aveva deciso che ci sarebbe stato un War Doctor? Non poteva essere sicuro che Christopher Eccleston non avrebbe dato disponibilità e, se vogliamo prendere alla lettera quanto detto dal Decimo a Rose, che definisce il metacrisi “come me quando mi hai incontrato, nato in mezzo alla guerra” dovremmo immaginare che inizialmente sarebbe dovuto essere il Nono ad aver combattuto i dalek su Gallifrey, senza contare che l’Undicesimo fa mostrare un tentativo di rigenerare alla Teselecta che ne riproduce le sembianze a Lake Silencio: essendo l’ultima rigenerazione, non sarebbe stato più credibile se fosse morto e basta? Il titolo The Eleventh Hour, però, mi fa pensare che fosse stato programmato fin dall’inizio, dal momento che in inglese è una frase fatta che vuol dire “all’ultimo minuto” o “l’ultima occasione”. La vera risposta è che non ha alcuna importanza. Russell era un produttore esecutivo di grande ambizione. Moffat è un imbroglione, un truffatore. Un prestigiatore, per essere più chiari. Tramite un attento utilizzo di momenti grandiosi, presentati sempre nel modo più eclatante possibile, di distrazioni e di intelligente uso di parole con doppia o di difficile lettura (“la sola acqua nella foresta è il fiume” è la prima che viene in mente), Moffat si comporta come un illusionista che tira fuori una colomba da un cilindro. Decostruire troppo le “scatole misteriose” di Moffat finisce per ridursi a dire che “quella colomba è un piccione”: la tensione, la promessa futura, i monologhi altisonanti fanno tutti parte dello spettacolo. Come in The Prestige, ma senza cloni morti. Un grande esempio di questo è quando l’Undicesimo parla a Amy in Flesh and Stone e, improvvisamente, ha di nuovo la giacca: non è un errore di continuity, è qualcosa a cui si lega il finale di stagione. Un po’ come scrivere “la storia è i personaggi” e farvi pensare che fosse un errore di battitura!

Prima o poi faccio questo cosplay

No, la storia è i personaggi o, per dirla in un modo con cui avrete più familiarità “we’re all stories in the end”. La filosofia dell’era è non vedere una separazione tra l’identità di un personaggio e le azioni che ha compiuto, la sua storia e quasi tutte le puntate giocano in un modo o nell’altro su questo, concesso che è un tema talmente vago che è possibile rivederlo in tutto, strizzando gli occhi abbastanza. Però un replicante auton creato dai ricordi di Amy è sempre Rory: biologicamente non può esserlo, ma nel momento in cui vai a mettere la storia di Rory in un corpo di plastica, non puoi che aspettarti che sia disposto a vegliare duemila anni per tenere al sicuro Amy. Il Dottore di Carne è sempre il Dottore, per lo stesso motivo, come è anche il motivo per cui Bracewell non esplode (o forse è un ripensamento dei dalek che decidono di usarlo per consegnare il quadro di Van Gogh, a voi la scelta). Sia Amy che Clara sono companion che rafforzano questo concetto: la Crepa ha continuato a rubare pezzi della storia di Amy che in risposta si è attaccata a quella di un amico immaginario, che torna da lei per ben due volte per questo motivo. Sottoposta a questo attacco continuo nell’infanzia, è diventata un’importantissima alleata perché capace di ricordare anche le storie che sono state cancellate. Viceversa Clara si è vista aggiungere storie che non le appartenevano, la storia di un’esploratrice curiosa che viene convertita in dalek, la storia di una cameriera vittoriana che si invaghisce di un uomo triste e misterioso, la storia di una ragazza su Gallifrey che indica al Dottore quale TARDIS rubare. Questo l’avrebbe completamente distrutta, frammentandola in mille pezzi, non fosse stato per il Dottore che le restituisce la foglia persa ad Akhaten, la prima pagina della storia della Clara originale. Credo sia per cementare questo che le eco di Clara non tornano più in gioco, dopo The Name of the Doctor: sarebbero stato un ottimo spunto per altre storie, invece non vengono nemmeno nominate dopo la settima stagione. Anche i nemici del Dottore orbitano sul tema: la Crepa, che The God Complex suggerisce essere il peggior incubo del Dottore, divora storie di interi pianeti, il Silenzio si cancella dalla memoria di chi lo vede e la Grande Intelligenza vuole riscrivere la storia del Dottore. Si noti come i confessori del Silenzio abbiano un design opposto ai servitori della Grande Intelligenza, privi di bocca, unico lineamento dei secondi. In modo più forzato, che l’acronimo di Great Intelligence è opposto a quello di Impossible Girl. Naturalmente su Clara dovremo tornare la settimana prossima, è inutile dilungarsi troppo su di lei, anche se dovrò ancora tornarci tra poco per ovvi motivi. Il tema non verrà comunque abbandonato, ma resta sempre presente in Moffat, sia nell’era del Dodicesimo che nel racconto breve The Terror of the Umpty Ums, di cui potete leggere la traduzione a cura di Amelia e rimproverarla per non aver usato “Letalbot” al posto di “Deathborg” come avevo suggerito io. Questa lettura è rafforzata dalla colonna sonora, che Murray Gold cerca sempre di collegare tematicamente: all’apice del monologo della rigenerazione del Dottore, sentiamo le inconfondibili note di The Long Song, episodio che dichiara che anima e storia siano la stessa cosa. Solo uno dei tanti tocchi brillanti che il compositore e direttore sonoro aggiunge e che cercherò di analizzare presto per un articolo della fanzine, ma dovrete associarvi per leggerlo (scriveteci in pagina e vi spiegheremo subito come)!

Murray Gold e Matt Smith: gli eroi di questa era

Ovviamente è indispensabile parlare della celebrazione del cinquantesimo anniversario, che vede la partecipazione di tante diverse figure. In modo completamente scollegato dalla trama, The Five(ish) Doctors Reboot narra un’ipotetica avventura sul set, in cui gli interpreti della classica del Dottore, Peter Davison, Colin Baker e Sylvester McCoy, insieme a un cameo di Paul McGann e il riutilizzo della scena di Shada già inserita in The Five Doctors di Tom Baker, cercano di entrare a far parte dello speciale. È una visione divertentissima, che acquista valore esplorando le relazioni nella produzione: per esempio l’arma segreta di Peter Davison è contattare la figlia, Georgia Moffet (Davison è nome d’arte) perché chieda al marito David Tennant di aprire per loro una porta mentre sta girando… e si sta perdendo il parto della moglie! Russell T Davies cerca di proporre un improbabile spunto per lo speciale a Moffat, che è troppo impegnato a giocare con statuine di Decimo e Undicesimo e Sean Pertwee commenta di come il suo Dottore preferito sia l’apocrifo Peter Cushing, nonostante sia il figlio di Jon. Insomma, una chicca che dà lo spazio per celebrare chi, nonostante sia parte integrante della serie, non apparirà nello speciale. The Night of the Doctor è invece l’antefatto agli eventi, mostrando l’entrata in guerra dell’ottavo Dottore e la sua rigenerazione, oltre ad accogliere come parte degli eventi le audioavventure Big Finish e a testimoniare che Paul McGann non può recarsi al polo nord, che scioglie il permafrost con il solo sguardo. Il pezzo forte è però The Day of The Doctor, avventura che vede protagonisti tre Dottori: il Decimo, l’Undicesimo e il War Doctor. L’intento è far luce sugli eventi della Guerra del Tempo, fino a quel momento lasciati più o meno all’oscuro, ma in tipico stile moffattiano, concentra il grosso del proprio tempo parlando d’altro, ossia di un’invasione di Zygon, alieni mutaforma comparsi nell’era del quarto Dottore. Questo è un modo di raccontare per metafore, i Dottori che tentano di impedire un conflitto perché tanto segnati dal passato, ma si chiude con un’enorme nota di speranza: Gallifrey non viene infatti distrutta, ma congelata al di fuori del tempo e, in linea con il tema, ora che viene ricordata, può anche tornare. Naturalmente un altro aspetto importante è avere un paragone diretto tra Decimo e Undicesimo.

Stesso software, case diversi!

Chi è l’undicesimo Dottore? Avevo anticipato che c’è una teoria dei fan interessante che vuole che ogni nuovo volto sia influenzato da qualcuno di importante per il Dottore precedente. Se nella classica mi sono fermato non riuscendo a identificare il passaggio da Terzo a Quarto, per la serie nuova questo è quasi innegabile: il War Doctor, retroattivamente, rigenera dopo aver conosciuto Clara, che infatti ha l’accento del nord inglese come il Nono; questo a sua volta rigenera in una versione più giovane per cercare di avvicinarsi a Rose. Il Dodicesimo è scozzese come Amy – per quanto il volto sia esplicitamente preso da un personaggio secondario – e rigenera dopo aver visto il paragone tra la versione peggiore del Maestro con quella più propensa al cambiamento, imitandola e diventando una donna. Allora da dove arriva l’undicesimo Dottore? Da nessuna parte, che è stranamente in linea con la teoria! La settimana scorsa abbiamo visto come il Decimo sia morto da umano, da John Smith, dopo aver detto addio a tutte le persone che ha amato e non aver nessuno a cui ispirarsi. Il problema degli esseri umani è che quando muoiono, è molto raro che tornino in vita! Da un certo punto di vista, l’Undicesimo è l’unica metà del Decimo sopravvissuta al cambiamento: il Time lord Victorious, se volete, la parte più aliena e lontana dall’etica umana del Dottore. La morale dell’Undicesimo è di stampo aristotelico: è “buono” perché le sue azioni hanno conseguenze positive per gli altri, azioni che partono dal raziocinio, non dalla propria natura o “un uomo buono non ha bisogno di regole, oggi non è un buon giorno per scoprire come mai io ne abbia così tante”. L’Undicesimo non è capace di “amare” come propria caratteristica, nel modo incondizionato in cui Rory e Amy si amano, deve “amare” in senso attivo, prodigandosi per salvare le persone nel modo più pragmatico possibile, viaggiando avanti nel tempo i duemila anni attesi da Rory o anche chiudendo le porte del TARDIS davanti a una versione di Amy che ha sofferto per decine di anni su Apalapucia o ancora promettendo con i propri occhioni tristi che, no, non avrebbe mai più ingannato Clara per allontanarla da sé, per farlo immediatamente dopo. Restare quasi un millennio su un pianeta per difendere bambini? Subito. Ricordare quanti bambini siano morti su Gallifrey? A cosa dovrebbe servire?! Persino l’aspetto ridicolo delle buffonate del Dottore trova una contestualizzazione in quest’ottica: il Decimo si comportava in modo strano sempre per un motivo immediato, si fingeva ubriaco con un daiquiri alla banana solo per rivelare che è acido destinato a mandare in corto gli androidi a orologeria; l’Undicesimo trae sincero divertimento da queste azioni, che contribuiscono a costruire la maschera da buffone che usa per nascondere l’oscuro essere manipolatorio che si cela sotto di essa. Durante la propria era, però, l’Undicesimo impara ad amare, per quanto resterà sempre un tipo di amore diverso da quello umano: quando scopre che Amy e Rory lasciano sempre un posto per lui a Natale, è incredibilmente sorpreso di aver pianto una singola lacrima, segno che qualcosa di empatico in lui rimane. Nella concezione di amore romantico, è utile un paragone tra il Decimo e Rose e l’Undicesimo e River: i primi due si amano in un modo struggente, che li attira l’uno all’altra che loro lo vogliano o no; i secondi, nonostante usino molto più spesso allusioni ed eufemismi, sembrano molto più platonici nelle loro azioni, addirittura denaturalizzando il sesso, che viene attribuito a oggetti inanimati e macchinari. Non è, insomma, un amore “umano”, ma non intendo dire che valga per questo di meno, solo che sia profondamente diverso: non a caso il Decimo non può vedere Rose nei suoi tentativi di raggiungerlo nella quarta stagione, mentre può vedere River nella propria tomba: c’è una connessione più razionale e intellettiva che fisica ed empatica. Nella relazione con Clara – che è innegabilmente un interesse romantico per il Dottore, se non siete d’accordo ne parliamo nei commenti di Facebook – la serie mostra come ci potrebbe essere un’attrazione del genere verso un essere umano, qualcosa che di nuovo non parte tanto da un coinvolgimento emotivo, quanto dai misteri dei due che l’altro vuole svelare. Clara diventa un’ossessione per il Dottore e sono sicuro che tutti, prima o poi, abbiamo sperimentato un sentimento del genere rivolto verso una persona. In modo significativo, questo non sboccia mai in una relazione, facendo invece una svolta a U quando il Dottore rigenera (“Clara, non sono il tuo ragazzo!”)

O magari mi sbaglio: è perfettamente capace di amare, ma ha solo paura dell’ipossia

C’è un altro aspetto dell’Undicesimo estremamente interessante, il modo in cui la sua era ha più i toni di una fiaba rispetto a quelli dell’era precedente, più “cavalleresca”. Alle volte la cosa viene esplicitata: Amelia Pond è un nome delle favole e River odia i maghi buoni perché spesso si rivelano essere il Dottore stesso. Questo viene concretizzato incarnando l’archetipo di Peter Pan nel Dottore, tesi di Brig: in primo luogo è evidente come entrambi siano eterni bambini, ma con un lato più oscuro e terrificante di ogni cattivo presente nella loro epoca, ma anche per i molti paralleli tra l’era di Undici e Peter and Wendy. Il Dottore è reinterpretato come un amico immaginario o un sogno che porta via nella “scatola-che-non-c’è” Amy/Wendy, la ragazza il cui compito è raccontare fiabe, ossia mantenere viva la storia che a sua volta manifesta il Dottore, in un parallelo tra il matrimonio di Amy e Rory e “io credo nelle fate” dell’opera teatrale. Non a caso Amy diventa una scrittrice, l’autrice di Melody Malone. Su due piedi non è facile stabilire chi sia il capitano Uncino, qui, ma un altro simbolo dei pirati è la benda sull’occhio, simile a quella indossata da Madame Kovarian e la Crepa divora la storia e quindi il tempo, proprio come il coccodrillo. Sono tentato di proporre anche Rory come Uncino: mentre il Dottore trascina nel mondo delle fiabe, il ragazzo cerca di tenere Amy con i piedi per terra, e se la Crepa è il Coccodrillo, il Dottore le dà “in pasto” Rory che tornerà con una pistola al posto della mano, ma caratterialmente è troppo, troppo distante da Uncino. Rory è palesemente molto più un Arthur Dent di Guida Galattica per Autostoppisti di quanto possa mai essere la nemesi di Peter, ma ci sono diversi paralleli interessanti, specie se immaginiamo di vivere in quel breve periodo in cui dilagava la teoria che Rory fosse in realtà il Maestro (cercate su google se siete curiosi, io non sono un sostenitore, ma la trovo divertente). Oltre a seguire in parte il personaggio di Wendy, Moffat scrive Amy come sintesi dei propri precedenti personaggi femminili: ha infatti il carattere inquisitorio di Sally Sparrow, sebbene sia più solare, riprende la storia di Reinette Poisson dell’amico immaginario e naturalmente la verve di River Song, che avrà anche una spiegazione genetica.

Molly Aiken su Pinteres https://www.pinterest.it/pin/175851560420318623/ l’ha capito comunque prima di noi!

Abbiamo già visto che questa era è stata accolta marginalmente peggio della precedente: in realtà è di per sé un ottimo risultato, è molto più facile perdere spettatori regolari che guadagnarne e, per quanto la media delle tre stagioni perda qualche centinaio di migliaia a livello globale, mi pare di capire che guadagni oltreoceano. Una “pecca” è stata usare poco i cattivi storici del Dottore, ovvero dalek, cybermen e Maestro. Mark Gatissi avrebbe dovuto gestire i primi, infatti scrive Victory of the Daleks, che riprende la presentazione di Dalek, con la differenza che stavolta sono gli “Ironsides” (fucilieri britannici pesantemente corazzati) invece del “Metaltron”, ma che si propone di reinventare le creature di Skaro, differenziandoli in ruoli diversi: degli “ufficiali”, Scienziato, Stratega, Eterno e Supremo e il Drone, probabilmente destinato a essere replicato in truppe d’assalto. Il problema è stato estetico, che è un po’ la maledizione di Mark Gatiss che presenta sempre storie originali ma che si macchiano di mancanza di gusto per un motivo o per l’altro: con un aspetto plastico e con colori sgargianti, i dalek del Nuovo Paradigma vengono considerati subito una scusa per vendere giocattoli e vengono chiamati “Dalek Rangers” o “Sailor Daleks” o “Dalek-tubbies”. Mi stupisce che sia stato dato tanto peso alla questione: sappiamo che un dalek è uno sgranapepe con un frustino per montare a neve e uno sturalavandini, sì? In ogni caso, i dalek diventano anonimi, sottofondo della Pandorica e poi rivisti saltuariamente, fino as Asylum of the Daleks che è la prima storia del revival che non riprende i temi di Dalek!!! Ok, Oswin è in parte dalek in parte umana, ma è difficile paragonarla al Metratron altrimenti. Piccolo problema: questa storia introduce che i dalek convertono gli esseri umani, come se fossero cybermen. Dal momento che siamo stati abituati a vedere che i dalek rifiutano tutto quello che non è puro, addirittura nella stessa era di Smith, è un cambiamento che arriva fuori dal nulla ed è alienante. È comunque piena di scene piene di immaginazione, come Amy contaminata che vede le cose dal punto di vista di un dalek pazzo. C’è da dire che i dalek sono probabilmente il motore degli eventi di tutta l’era, dal momento che scopriamo essere loro i principali nemici del Dottore su Trenzalore, ma il grosso avviene fuori scena ed è appena possibile ipotizzare una loro predominanza da questo punto di vista. Destino simile subiscono i cybermen: la produzione non cambierà il loro costume fino a Nightmare in Silver, ma in A Good Man goes to War li vediamo organizzati in “cyberlegioni”, nonostante abbiano ancora l’aspetto della Cybus. Presentarli dal nulla in quel modo crea confusione nello spettatore, sia che abbia supposto che i mondasiani fossero estinti nella Time War, sia che non conosca assolutamente l’era classica e quindi conosca solo la versione del mondo parallelo. Affidarne la scrittura a Neil Gaiman ha aiutato un po’: Nightmare in Silver li presenta come una forza inarrestabile, capace di convertire i soldati contro cui si scontra e di riprodursi a una velocità folle: se non puoi eliminare subito un cyberman, devi distruggere immediatamente il pianeta. L’ultimo barlume di salvezza viene anche eliminato: il Dottore può essere convertito, dando origine a Mr Clever, in un’elettrizzante interpretazione di Smith che si alterna tra Undicesimo e Cyber Planner. La puntata però non trae vantaggio vero e proprio dal setting di Luna Park spaziale abbandonato e ha una risoluzione frettolosa, portandomi a chiedere se non sia stata scritta sperando di ampliare a una seconda parte. Gli unici altri cybermen che vedremo saranno Handles, che potete reincontrare al nostro stand in fiera (quando ce ne saranno di nuovo!) e un ilare cyberman di legno, per poi avere un triste destino nell’era di Capaldi. Infine il Maestro non compare veramente in questa era: certo Missy è quella che fa incontrare Clara e il Dottore, ma non apparirà prima dell’ottava stagione. Nel 2012 uno scambio di tweet aveva fatto alzare le orecchie dei fan, quando William Shatner, lo storico capitano Kirk, aveva dichiarato che non gli sarebbe dispiaciuto interpretare il Maestro, con Matt Smith che aveva risposto che sarebbe stato un onore recitare con una simile leggenda, ma la discussione è stata chiusa da Moffat che riteneva l’immagine di Shatner troppo legata a quella di un eroe per fare un cattivo. Io ho finito l’era dell’Undicesimo ritenendomi sazio: l’ho adorata, ma volevo vedere altro. Tornando indietro, l’unica cosa che vorrei aggiungere è proprio una storia contro al Maestro, perché potrebbe trarre veramente vantaggio dalle circostanze. Mi spiego: il Maestro è prima di tutto un riflesso malvagio del Dottore. Parafrasando Fleur: non c’è bisogno, è abbastanza oscuro per tutti e due! Però appunto, sarebbe stata un’occasione per mostrare il Dottore nella propria versione più spietata e manipolatoria incontrare magare una versione più giovane e ancora non votata al male del Maestro, che magari avrebbe adottato il pragmatismo dell’amico lasciandosi prendere la mano. Anche avere un giovane Matt Smith interpretare un Dottore in realtà vecchio interagire con un Maestro precedente a Delgado, ma interpretato da un ultraottantenne avrebbe reso la simmetria. In ogni caso nessuno di questi tre nemici risuona bene con il tema dell’era quanto il Silenzio e altri nemici hanno visto un ritorno più di riguardo, sia gli angeli della nuova che i Siluriani, gli Ice Warrior, gli Zygon e ovviamente la Grande Intelligenza della classica.

River è una gradita aggiunta al paradigma della serie, in un certo senso dando origine a una moltitudine di episodi “pseudo-multidottore”, dove è affiancato da una sua uguale, cosa che si percepisce anche prima della rivelazione che sia una “Signora del Tempo”, sebbene umana

L’era di Smith è densa di significato, presenta immagini e momenti che restano scolpiti nella coscienza, personaggi affascinanti e indimenticabili. È un peccato che l’attore debba ancora avere una vera seconda occasione per brillare (io speravo avrebbe fatto Mysterio per la Marvel, ma Far From Home ha dissentito, ripiego su Mr Negative), per quanto sia apprezzabile nella altre opere in cui compare, come The Crown e essere tipo l’unico aspetto positivo di Terminator: Genisys. Certo, è vero che Tennant è stato più iconico, ma ogni volta che pensate al Dottore vedendo un papillon, il merito è suo. “I will always remember when the Doctor was me” e altrettanto faremo noi, anche perché qualcosa che viene ricordato, può sempre tornare. Così ci scolpiamo ogni nota di Always the Doctor, ogni parola del monologo, ogni gesto, ogni espressione, quel breve contatto con la sua amica immaginaria, finalmente tornata da lui, il cesello che incide la nostra coscienza al ritmo della lancetta dei secondi, che inesorabilmente si ricongiunge alle altre in cima al quadrante, fino al dodicesimo rintocco. Tra sette giorni l’orologio batte le dodici, reni nuovi dal dubbio colore e soprattutto “shut up!”

Ma fino ad allora, stay tuned, stay (mostly) HOME! Ciao, dal vostro Sesto!

~Six