ROSA, recensione di Six
La storia non è fatta di date, non è una progressione lineare e non è una scienza tanto semplice da poter essere prevista da un computer. La storia è un miscuglio informe di individui che cozzano e si respingono, si stringono, si cingono in un perenne divenire che da lontano non può sembrare altro che un ammasso informe. La storia è fatta di anni di niente, in cui il benessere generale o il malcontento si chetano come un mare in bonaccia, anni che valgono giorni e di tempeste che strappano vele e rompono chiglie, scaraventandoti dall’altra parte del mare, di rivoluzioni, di persone che decidono, come scosse da un incantesimo, che no, non chineranno la testa un giorno di più e di colpo il mondo non sarà mai più lo stesso: giorni che valgono anni.
Rosa è la storia di uno di questi giorni, ma è anche qualcos’altro. Che un programma televisivo non debba mettere il politically correct come priorità è una cosa che abbiamo detto in molti. Uso la prima persona perché anche io ho guardato con sufficienza l’intrusione di una battuta LGBT nella scorsa puntata, perché l’ho trovata gratuita. Ma Doctor Who nasce come programma educativo. Nasce per spiegare ai bambini che cosa è il fuoco, come costruivano le città i romani, la vita sociale degli insetti e tante altre cose che possono sembrare banali. Poi ha perso questa funzione, in favore di avventure avvincenti nello spazio e nel tempo, ma oggi ha detto basta. Oggi Doctor Who ha deciso di volerci di nuovo insegnare qualcosa e lo fa nel modo migliore possibile: duro, secco e che lasci il segno, come un sasso nello stomaco. O come un meteorite.
Il punto di vista tecnico della puntata non vuole sminuire il messaggio di fondo, che è il vero focus dell’episodio, e lo sostiene scegliendo inquadrature adeguate e transizioni dinamiche e innovative, degne di grande schermo e, se se ne accorge uno come me, è dire tanto. Persino la colonna sonora assiste l’esecuzione della puntata. Jodie è ormai diventata sinonimo di qualità, un vero e proprio ritorno a Eccleston, almeno secondo me, ma sono di parte perché profondamente invaghito del suo accento e di come pronuncia alcune parole. È molto divertente sentire la differenza di pronuncia tra l’inglese americano e il terzetto di Sheffield -che viene interpretato degnamente, così come quasi tutto il cast ospite-, con frasi tipo “sei no mem” “no mam” -perdonate l’ignoranza del linguaggio fonetico.-
Mi spiace di non aver visto l’autore della puntata, ma riprende in parte l’andazzo di Chibnall della prima nel character building e OMMIODDIO I COMPANION HANNO DELLE BATTUTE!!! Potrei essere severo e dire che lo sviluppo di Yaz è derivato ed è l’estensione di quanto si poteva speculare, ma è un’altra cosa sentirle pronunciare battute che lo delineino, invece di associarla ciecamente a un certo lagomorfo disneyano e lo stesso dicasi degli altri personaggi.
Mi ritrovo in un cul de sac: non posso dirvi altro sull’episodio senza rovinarne la visione. In altri contesti, già scrivere una recensione tanto entusiasta potrebbe influenzarvi, ma non oggi. Oggi questa puntata si erge come un monolite e nulla in mio potere potrebbe muoverla di un millimetro. Sicuramente meno di come potrebbe -e dovrebbe- muovere ognuno di noi, domani.