Quando il Detective incontrò il Dottore, part I – di Tardis

Nel numero 05 di Pull to Open avevamo chiesto ai nostri lettori di immaginare una storia in cui le vicende del Dottore si incrociassero con quelle di personaggi appartenenti ad altre opere! Tutti i partecipanti dovevano compilare un questionario con vari dettagli della loro idea crossover: le idee più apprezzate dal nostro staff sarebbero diventate fanfiction scritte da noi!
Qui di seguito vi presentiamo quindi un racconto tratto da una proposta a cui abbiamo assegnato una menzione speciale.
Buona lettura!

Da un’idea di Alessandro.
Crossover con Sherlock
(serie BBC del 2010)
Personaggi: Dottore, Donna Noble, Angeli Piangenti, Sherlock Holmes, Jim Moriarty
Ambientazione: Londra, epoca di Sherlock classica
Antagonista: Moriarty con qualche alieno
Frase da inserire: “Elementare Dottore”, pronunciata da Sherlock.


Quando il Detective incontrò il Dottore

di Tardis

“Elementare, Watson. Questa è la tesi più valida.”
“Assolutamente no. Mi rifiuto di pensarlo!”
“Andiamo, non dirai sul serio. Non mi puoi battere.”
“Va bene. Facciamo così: adesso chiamo la signora Hudson, e le chiediamo chi ha ragione.”
“Oh, al diavolo la signora Hudson! Beve solo whiskey di malto, figurati se sa riconoscere la qualità di tè migliore!”
Proprio in quel momento, i due sentirono bussare alla porta.
“Non ora, signora Hudson!”
“Giovanotto, un po’ di buone maniere… ti ho portato una cliente, comunque. Forse faresti meglio a sentirla,” e rivolgendosi alla rossa, le
disse: “Non farci troppo caso, cara… è scontroso, ma è molto valido.”
Ciò detto, se ne ritornò nel suo appartamento al piano inferiore.

Entrambi i contendenti la squadrarono, chi per capire come metterla a proprio agio con quel folle che si trovava nella stanza, e chi per capire se il caso che aveva da sottoporgli sarebbe valso il suo tempo.
Fu il dottore a fare gli onori di casa, facendola accomodare sul divano dove poco prima stava sorseggiando una tazza di tè alla cannella e zenzero.
“Prego, signora…?”
“Signorina, in realtà. Noble, Donna Noble. Ho letto il blog in cui diceva di aver risolto il caso del rospo in rosa. Cioè, volevo dire, della donna vestita di rosa. Ho riletto da poco Harry Potter, scusate. E quindi, ho pensato che…”
“…Ha pensato bene di venire a importunarmi con un banale caso di persona scomparsa che può trovare infilandosi nella prima cabina telefonica che trova in giro consultando un elenco telefonico, se le piace fare le cose vecchia scuola, oppure può cercare il suo amico sul primo social network a sua scelta e se la cava da sola. Grazie e buona giornata.”
“Sherlock!”
“Che c’è?! Non vorrai davvero starla a sentire!”
“Quel tè ti fa male…”
“No, John, sono i cerotti alla nicotina che sto prendendo per non fumare e dare di matto perché non c’è uno straccio di caso interes-”
“OHI!” e uno schiaffo volò sulla guancia del malcapitato quasi in preda al delirio. “Adesso tu ti dai una calmata, stai a sentire quello che ho da dire e mi aiuti a risolvere il mio problema, se sei così bravocome dici di essere. Tutto chiaro?”
Sherlock e Watson si guardarono, sconvolti da quella improvvisa presa di posizione. Watson più volte aveva pensato di prendere a schiaffi quella faccia dannatamente e perfettamente simmetrica, ma mai avrebbe osato arrivare a tanto, nonostante lo mandasse su tutte le furie un giorno sì e l’altro pure. Dopotutto, erano pur sempre coinquilini, e dovevano convivere civilmente. Anche con degli spari sul muro ogni tanto e qualche sviolinata notturna.

“Beh, signora… Vuol dire che adesso io mi siederò su una sedia di fronte a lei, che siederà sul divano, farò finta di ascoltarla e interessarmi, le darò una risposta mediocremente accettabile, mi pagherà le sterline che mi deve per il disturbo, con le quali mi farò comprare dalla gentilissima signora del piano di sotto una scorta del migliore tè esistente, cioè il Lapsang Souchong, e tutti andremo avanti con le nostre vite in questa miserabile città fino a che non verremo seppelliti sotto tre metri di terra o verremo accolti dalle fiamme dell’Inferno. Che ne dice?”
Quello che aveva la parvenza di essere il sorriso più macabro del mondo si formò sulla faccia del detective.
“Lei è psicopatico… – disse Donna sedendosi di fronte a lui – …ma d’altronde è il migliore della città, quindi mi sta bene.”
“Veramente non sono psic-”
“Sì, sì, un sociopatico ad alto funzionamento, ha ragione. Cavolo, detesto quando il Dottore ha ragione.”
“Mi scusi, ma io non la conosco neanche! Come potrei averle detto una cosa del genere?”
“Non credo parlasse di te, John.”
“Beh, se mi lasciaste spiegare, probabilmente capireste di più, non credete?”
Ci fu un lungo ed eterno minuto di silenzio. Donna aspettava una risposta, John sollevò un sopracciglio e intimò a Sherlock la sedia di fronte al divano, Sherlock si sedette in maniera scomposta davanti a lei e con aria annoiata sospirò.
“Suppongo abbia ragione…prego, la ascoltiamo.”

“Okay, vuoi spiegarmi cosa sta succedendo, e perché quella statua, che essendo una statua dovrebbe essere immobile, si è mossa mentre non stavo guardando?!” disse Donna sbraitando all’interno del Tardis mentre il Dottore decollava in tutta fretta.
“Quella non è una statua normale, Donna. Quello è un Angelo Piangente. Si nutre dell’energia temporale che viene rilasciata quando trasporta una persona indietro nel tempo. Solo che questo doveva essere abbastanza malridotto per riuscire a trasportare solo Wilfred…”
“Che succede ora? Come lo troviamo?”
“Ora, Donna, cerchiamo un picco di energia temporale e cerchiamo di capire dove sia finito.”
Cercava di non darlo troppo a vedere, ma non era mai stata così preoccupata per suo nonno. Le era sempre rimasto accanto, anche quando l’uomo che sarebbe dovuto diventare suo marito l’aveva piantata in asso all’altare per un ragno gigante. Lui era quello che, quando sua madre la assillava con la ricerca di un lavoro o non sapeva su chi sfogare la sua frustrazione, la portava a vedere le stelle con solo un thermos nella borsa, e le spiegava l’intero firmamento.
Certo era che mai si sarebbe aspettata di finirci dentro, al firmamento, e con quel marziano, ma con il tempo si divertiva sempre di più. E a suo nonno era simpatico, quindi un ulteriore punto a favore.

DING!
“Cos’è stato?”
“Questo! È un aggeggio che fa ding.”
“E ti ha detto dov’è mio nonno?”
“Beh, no, non serve a-”
“E allora diamoci una mossa! Può essere finito dovunque, e noi stiamo semplicemente vagando a vuoto!”
“EHI!” I circuiti del Tardis iniziarono a mugugnare più del solito.
“No, stai tranquilla, non ce l’aveva con te.”
“No, infatti. Ce l’avevo con te, Dottore! Se quell’essere…” nello stesso momento, ci fu un altro DING e lo schermo si illuminò.
“Trovato! 4 maggio 1891, cascate di Reichenbach.”
“Aspetta, quelle cascate? Quelle citate nelle storie di sir Arthur Conan Doyle?”
“Proprio loro! E sembra che l’energia presente sia così tanta che gli Angeli non vogliano più abbandonare quel posto.”
“Oh, fantastico… quindi come facciamo?”
“Beh, stiamo parlando di Reichenbach, quindi Sherlock Holmes. Chi può aiutarci a risolvere questo mistero se non il più grande detective del Ventunesimo secolo?”

Donna rimase perplessa per un attimo, e il suo accento londinese si fece ancora più marcato a causa del nervosismo crescente.
“Tu vuoi seriamente andare da Sherlock Holmes, parlargli di una cabina telefonica della polizia degli anni ‘60 che è più grande all’interno, farlo viaggiare nel tempo e nello spazio fino in Svizzera e fargli risolvere un caso di cui non sappiamo nulla se non che potrebbe esserci anche il suo arcinemico?!”
“Certo che no! Ma per chi mi hai preso…”
“Ah, ecco…”
“Ci andrai tu, e quando tornerete qui tutti e tre insieme partiremo all’avventura.”
“Scusa, cosa?! E pensi seriamente che mi crederanno senza battere ciglio o farsi domande?”
“Andiamo, Donna! Sherlock Holmes è la razionalità fatta persona, non puoi fregarlo. Se ne accorge se gli racconti qualcosa di falso, e tu non lo stai facendo. Hai semplicemente bisogno di aiuto a ritrovare una persona cara e guarda caso potrebbe essere coinvolto anche Moriarty… ma non lo sapremo mai se non lo portiamo con noi, e l’unico modo per saperlo è convincerlo che questo caso lo interessi da molto vicino.”
“Quindi, vado a Londra, 221B di Baker Street, chiedo appuntamento con Sherlock Holmes e Watson, gli racconto di mio nonno e del Tardis, e poi si parte?”
“Precisamente. Allons-y!”

“Non lo stiamo facendo sul serio. Dimmi che hai messo qualcosa nel mio tè e ci stiamo sognando tutto questo.”
John rimase sconvolto quando si ritrovò di fronte l’immensa console esagonale nel centro esatto di una cabina della polizia anni ‘60 di neanche tre metri quadri. Sherlock invece non mostrò sgomento o eccitazione. Era semplicemente Sherlock Holmes di fronte a un fatto oggettivo. Freddo, calcolatore, e con qualche cerotto alla nicotina di riserva nel caso i tre sul braccio perdessero effetto nel mezzo di un ragionamento.
“Dottor Watson, non si preoccupi. Il suo collega non c’entra nulla questa volta. Si rilassi e si goda il viaggio.”
“Mi dice come faccio se so che potrei finire chissà dove e chissà quando a piacimento di questa… che diavolo è, poi? Un’astronave, una cabina… non ha neanche un telefono e ha il coraggio di chiamarla cabina telefonica!”
“John, cerca di calmarti.”
“No che non mi calmo, Sherlock! Siamo nello spazio, stiamo respirando, cosa che non è materialmente possibile, e stiamo viaggiando indietro nel tempo! Capisci la follia?!”
“John, respira.”
“Si fidi, Watson. Andrà tutto bene. Il Dottore sa quello che fa, e il Tardis è perfettamente sicuro.”
“Ha ragione, dottore. Respiri, si aggrappi alle maniglie e tutto filerà per il verso giusto. Siamo quasi arrivati.” e nel dirlo, il Tardis fece un ultimo scossone e si fermò.
“Visto? Non era poi così tragico, no?”
Alle parole del Dottore, John andò su tutte le furie. “Senta, io non so neanche perché mi trovo qui! Anzi, lo so. Stavo seguendo questo folle,” disse indicando Sherlock “perché è folle uno che pur di avere un caso crede alla prima donna che gli passa sotto il naso e gli dice che ha un compare con una macchina del tempo che può andare dovunque nel tempo e nello spazio. Non so quale complicato gioco di specchi stia usando per rendere la stanza più grande, non so se mi ha drogato, ipnotizzato o dato una botta in
testa con una padella, ma adesso io uscirò da quella porta e mi ritroverò a pochi passi da Baker Street dove l’ho incontrata, Dottore. Dottore… dottore chi, poi, e in che cosa? Perché non ho mai sentito una sola parola su di lei, me lo spiega?”

Rimasero tutti scioccati davanti alla scena a cui avevano appena assistito. Il Dottore era per la prima volta ammutolito. Strano, perché lui aveva sempre un’ottima parlantina. Stavolta rimase seriamente perplesso su come rispondere, perché logicamente raccontargli tutta la sua storia sarebbe stato eccessivo, ma allo stesso tempo avrebbe dovuto trovare qualche appiglio per confermare al dottor Watson che quello che stava succedendo era vero. E allora fece la cosa più logica e più semplice che gli venisse
in mente.
Si avvicinò alla porta del Tardis, la aprì e fece cenno di avvicinarsi. Watson accolse l’invito molto cauto, perché sentiva che c’era qualcosa che non andava, e lo spettacolo che gli si parò davanti lo lasciò esterrefatto.
“Adesso mi credi, John?”
Le cascate di Reichenbach si gettavano a capofitto sotto il suo sguardo attonito. Per un attimo sentì la testa girargli e cercò la prima cosa a cui reggersi.
“Dottore, non puoi fare così, lo spaventi.”
“Io trovo che un bello spavento ogni tanto serva sempre.”
“Esatto! Quale modo migliore per scuotere una persona che provocarle uno shock?”
“Come quello che è servito a te?”
Il Dottore sbarrò gli occhi per un attimo. “Beh…non così forte, magari.”
“Vorrei ben dire. Venite con me, andiamo a metterci degli abiti più consoni a questo periodo.” E insieme a Donna, si adeguarono tutti allo stile della fine del XIX secolo e, dopo essere atterrati in un luogo più adatto, iniziarono la ricerca di Wilfred.

parte II