VINCENT AND THE DOCTOR – 10 ANNI DOPO

È il mio compleanno, festeggiamo!!! Ah, non siete qui per questo? Siete qui per la recensione anniversario di Vincent and the Doctor? E perché non l’avete detto subito!

The ultimate ginger. Il rosso definitivo.

In questa puntata l’Undicesimo Dottore ed Amy Pond visitano il Musée d’Orsay, in particolare la sezione dedicata a Vincent Van Gogh, ma si accorgono che qualcosa non va nel quadro La chiesa di Auvers e decidono di tornare al momento della creazione del dipinto per risolvere la questione. Questo per loro vorrà dire trovarsi faccia a faccia con uno dei più grandi pittori di tutti i tempi, con la sua vita travagliata e triste, ma anche con un alieno invisibile che semina il panico nel paese, alieno che solo Vincent riesce a vedere. Se state leggendo questa recensione, avete visto sicuramente la puntata (probabilmente decine di volte), sapete come finisce, e starete piangendo come me dalla commozione a ripensare all’ultima scena, in cui il Dottore porta Vincent al museo per mostrargli il futuro delle sue opere e l’amore che avrebbero ricevuto più di cento anni dopo.

Come sapete, e intuite dal mio nickname, mi ritrovo nel personaggio di Amy e amo portarne il cosplay, in diverse versioni, prima o poi (cioè quando troverò i vari pezzi), vorrei portare anche l’outfit di questa puntata, poiché Vincent and the Doctor è uno degli episodi in cui rivedo di più me stessa in Amy, avrei agito esattamente come lei: fangirlare per aver incontrato Van Gogh, in quanto mio pittore preferito, proporgli i girasoli da dipingere, e piangere sapendo di non aver cambiato la sua sorte, ma sperare almeno di aver lasciato in lui un segno positivo.

L’alieno invisibile presente nella puntata, un Krafayis, lo interpreto come metafora della “pazzia” di Vincent: nessuno lo vede tranne lui, c’è una connessione, entrambi soli, entrambi tristi e spaventati, il pittore viene isolato perché considerato pericoloso e malato, l’alieno abbandonato perché cieco e senza speranze, due animi affini. Il Krafayis diventa simbolo della depressione di Vincent, una forza cieca, spaventata e rabbiosa che vaga senza meta sperando che prima o poi tutto finisca: uccidendolo il pittore pone fine alla sofferenza della creatura, anche se farlo gli ha recato dolore, ma in ciò ritrova lui stesso una pace momentanea, realizza di non essere veramente sbagliato o malato, ma principalmente incompreso.

Van Gogh possiede un suo modo di guardare alla natura, alla realtà, che viene distorta nella sua mente e rivela le sue meraviglie, riportate su tela con gesti passionali e colori forti, che dimostrano una vitalità troppo lungimirante per i suoi contemporanei, non disposti né pronti a capirlo. Questo lo porterà al suicidio dopo alcuni mesi, ma è bello pensare che, almeno nella finzione della serie, lui abbia potuto sentire qualcuno tessere le sue lodi come pittore e come persona per una volta, invece che criticarlo senza pietà solo perché “diverso”. Il tema del “diverso” = “pauroso” è dolorosamente ancora attuale, in diversi ambiti sociali, un odio dettato dalla paura, dall’ignoranza e spesso anche dalla superficialità. Nel caso specifico della depressione, è un disturbo spesso difficile da diagnosticare nella sua interezza, si tende a minimizzarla o a non darle in generale la giusta importanza, come le altre malattie/disturbi mentali è ancora un grande tabù nella società odierna, quasi bisogna vergognarsi di star male o di cercare aiuto, risultando in mancanza di cure che potrebbero fare la differenza. Sarebbe bello poter parlare di più pubblicamente di questi argomenti, informare per aumentare la consapevolezza e la comprensione di ciò che fa tanta paura, per cancellare lo stigma che circonda le persone con disturbi mentali di ogni sorta, dai più leggeri ai più gravi.

Per Vincent Van Gogh dipingere era un modo di riversare sulle tele il suo grande dolore unito alla sua accecante passione, e credo avrebbe potuto dipingere ancora per molti anni, ma alcuni mostri sono più difficili da combattere di altri, quando si è soli.

  • Amelia Pond