DWOT 17/05/2020 – quello sul Dottore “Fantastic”
Ciao a tutti e bentornati a DWOT, Discussing the Wonders of Our Tale dove – coriandoli – siamo arrivati a parlare della serie nuova! Qualcosa che tutti conoscono, a meno che non abbiano infranto la regola #10 – never skip nine, che ironicamente segue la #8 – noi non parliamo di Adam. Però nel caso siamo pari, perché io parlerò di Adam! Prima però devo parlarvi, non lo indovinereste mai, di Samurai Jack.
Samurai Jack è un cartone animato di Cartoon Network che ha seguito la tendenza a realizzare opere rivolte non solo ai bambini, ma anche a un pubblico più maturo, parlando di un guerriero samurai che combatte il malvagio Aku, un essere sovrannaturale che, per impedire la propria sconfitta, manda Jack in esilio in un lontano futuro distopico in cui il male ha vinto. Di lì le puntate assumono un pesante carattere episodico, mostrando ogni volta un mostro della settimana che blocca Jack nel suo tentativo di arrivare a un portale che lo riporti al proprio tempo, cosa che non riesce mai a portare a termine. La serie è cominciata nel 2001 ed è andata avanti per quattro stagioni, senza concludersi. I fan si sono trovati quindi a immaginare Jack impegnato in questo eterno conflitto, continuando a tentare di rimettere la storia sulla retta via, ma senza mai riuscirci… finché una quinta e ultima stagione non è uscita nel 2017, dopo 13 anni, che mostra una conclusione alla vicenda. Parlando di viaggi nel tempo e di programma per famiglie la connessione con Doctor Who può apparire immediata, ma non è tanto questo il punto, quanto come questa pausa forzata di 13 anni abbia pesato sull’ultima stagione, mostrando un Jack logorato dal tempo, indurito, privo di speranze come non lo era mai stato: il passaggio del tempo reale ha risvolti sulla trama, in una metanarrativa che non si limita alla semplice rottura della quarta parete.
Non è l’unico esempio: Twin Peaks annuncia la lunga attesa in vista delle stagioni nuove, Futurama lancia frecciate alla produzione e Doctor Who stabilisce una metafora per la cancellazione della serie con il concetto della Guerra del Tempo. Proprio come lo show è reduce dalla cancellazione, anche il Dottore adesso è un reduce. Soprattutto se paragonato alla precedente incarnazione (non sto contando il War Doctor che all’epoca non era stato concepito), è sarcastico e tagliente, spesso spietato. Viene presentato facendogli afferrare Rose per una mano e dicendole “corri!” e aiutarla a scappare. Quando lei si preoccupa per un collega, lui le risponde seccamente che è morto e, una volta che Rose è al sicuro, torna indietro per far esplodere l’edificio. Ha un lato eccentrico, ma non lo mostra spesso agli altri, come testimoniano le azioni ridicole che compie in casa di Rose. L’outfit è diventato decisamente meno appariscente, indossando una giacca di pelle sopra a una maglia a maniche lunghe che passano inosservate per le strade della Londra del 2005. Questo è il Dottore che grida a un Dalek in cerca di ordini “perché non muori e basta?!”, ma ha anche un altro lato: quello che dice a Rose “sto venendo a prenderti” quando questa è circondata da Dalek, quello che la guarda malinconico mentre lei si allontana con Mickey, quello che scoppia di gioia quando, per una volta, “non muore nessuno”. Introduce una catchphrase, una battuta ricorrente, nell’abuso del termine “fantastic”, però va detto che verrà usata come elemento nella sua storia, essendo il modo in cui definisce se stesso e Rose prima di rigenerare. Per quanto la serie classica avesse motivi ricorrenti, come l’insolita espressione “sorry, must dash” del Quinto, stento un po’ a definirle catchphrase. Lo stesso Eccleston è determinante nell’interpretazione: interessato al ruolo perché desideroso di fare un ruolo rivolto ai bambini, Christopher si esibisce in una performance esagerata nelle espressioni facciali, che trasmettono una vastità di emozioni, arricchendo ogni dialogo cui prende parte. Nonché essere una fonte inesauribile di meme, se si mette il fermo immagine mentre sta parlando.
È difficile guardare il nono Dottore come la continuazione di una storia, invece che l’inizio di una nuova, la prima impressione che si ha a vedere la classica è di stare guardando una sorta di prequel. La struttura degli episodi è completamente diversa, riducendo il tempo dedicato a ogni storia alla quarantina di minuti che conosciamo tutti, con l’eccezione di quelle divise in due parti; questo comporta vantaggi e svantaggi: da un lato oltre a liberarci di tutti i cliffhanger forzati, abbiamo molte più storie per ogni stagione, ambientazioni diverse e una pluralità di situazioni e personaggi; dall’altro, abbiamo meno tempo da dedicare ai personaggi, che la serie risolve concentrandosi sul rapporto tra il Dottore e Rose Tyler, la prima nuova companion. Il Dottore è un individuo eccezionalmente brillante che viaggia con la sua cabina blu e sempre accompagnato dal cacciavite sonico, ora elemento costante di ogni incarnazione, ma è anche tormentato da quello che ha passato. Viene rivelato già dalla seconda puntata che il Dottore è adesso l’ultimo Signore del Tempo, avendo visto la fine del proprio popolo con gli eventi della guerra. Questo lo rende più diretto del solito, incline a terminare le minacce aliene del caso, per quanto tenti sempre di dare loro un’occasione. Tenta di dissuadere la coscienza Nestene, ma porta con sé dell’antiplastica, lascia che Cassandra si disidrati a morte e causa la morte di tutta la famiglia Slitheen, con l’eccezione di Margaret. Quest’ultima, infatti, ritorna in Boom Town, episodio di cui è l’antagonista principale e che vede una risoluzione prematura: il Dottore cattura Margaret ed è completamente determinato a riportarla al proprio popolo su Raxacolicofallapatorius. Il Dottore ha un atteggiamento spietato nei suoi confronti, a nulla servono le suppliche e per la maggior parte della puntata Margaret è completamente dominata dal Signore del Tempo, trovando soluzione solo quando questa regredisce a uovo per effetto del Cuore del TARDIS. Questo ricorda molto Dalek, la prima apparizione dei più famosi nemici del Dottore dal revival.
Dalek è un adattamento di Jubilee, una durissima storia del repertorio Big Finish: il TARDIS ha un malfunzionamento e si materializza contemporaneamente in due punti storici, prima di una guerra tra uomini e Dalek e un secolo dopo che i primi l’hanno vinta, con l’aiuto del Dottore. La storia segue il Sesto e la sua companion Evelyn, comparsi nel dopoguerra, che ha causato la nascita di un regime britannico, enfatizzando la teoria storica per cui i vincitori prendano sempre qualcosa della cultura dei vinti. Faranno presto conoscenza dell’ultimo Dalek superstite, privato delle armi e torturato per un secolo e del Dottore arrivato prima della guerra, che versa in modo orrificante in condizioni simili: per impedirgli di scappare gli hanno amputato le gambe e la tortura lo ha portato alla follia. Per quanto sia tecnicamente un adattamento, Dalek riprende solo alcuni elementi della storia originale, tenendo ferme alcune solide tematiche, come il parallelo tra Dalek e Dottore. Queste diventeranno la colonna vertebrale di ogni singola storia sui Dalek della nuova serie: Into the Dalek è praticamente un remake del remake, la potenza della rivelazione del contenuto dell’Arca del Vuoto in Army of Ghosts è una conseguenza del potenziale bellico del primo Dalek e Daleks in Manhattan esplora nuovamente il concetto di ibridi Dalek-umani. La parte più interessante resta comunque come il Dottore sarebbe “un buon Dalek”, che la lingua inglese lascia ambiguo con il concetto di “Dalek buono”. Il Dottore, infatti è determinato a eliminare il Dalek superstite in modo non dissimile a quanto vedremo fare per Margaret, ma con una furia del tutto nuova.
La Guerra del Tempo, sempre metafora della cancellazione della serie classica, non ha lasciato cicatrici solo sul Dottore, però: interi pianeti sono andati distrutti nel conflitto, che in questo modo ha causato gli eventi di Rose e di The Unquiet Dead, che vedono altri alieni sopravvissuti in un disperato tentativo di rendere la Terra la loro nuova casa, mostrando problemi che il Dottore cerca di risolvere, ma senza successo. La storia di Satellite 5, che apre con The Long Game e chiude con il finale di stagione, ribalta il concetto del Dottore che salva l’umanità, inserendolo in una storia che vede il suo intervento precedente aver causato più danni in futuro. The Long Game è una satira sulla televisione come lo è stato Vengeance on Varos, ma più rivolta verso la produzione, qui dipinta come fedeli burattini dei “piani alti”, suggestivamente abitati da un gigantesco e disgustoso verme; la critica al pubblico televisivo si ritrova invece in Bad Wolf, che apre la doppia puntata del finale. Un altro ovvio tema ricorrente è quello degli ultimi sopravvissuti: Cassandra è l’ultima umana, i Gelts sono gli ultimi della loro specie, il Dalek superstite è l’ultimo e Margaret è l’ultima Slitheen. Questo mette in evidenza tutti aspetti che il Dottore prima o poi esplorerà del proprio nuovo status: la vanagloria di Cassandra può essere ritrovata nel “Time lord victorious”, The End of Time metterà il popolo del Dottore in una situazione simile a quella dei Gelts e sia il Dalek che Margaret simboleggiano come cominciare una nuova vita dopo la tragedia, il primo soccombendo alla difficoltà di questa rinascita, la seconda ottenendo nuove speranze.
Questo ci porta a Rose Tyler. Personaggio estremamente elaborato di suo, Rose incarna proprio lo strumento di questo cambiamento, prima salvando il Dottore nella puntata che porta il suo nome, poi diventando qualcuno con cui parlare della tragedia e, via via, abbattendo altre barriere tra lei e il Dottore, finché non diventa letteralmente in grado di guardare il mondo nello stesso modo, nella realizzazione del Bad Wolf. Questa è la prima delle scatole misteriose che caratterizzeranno le stagioni successive e probabilmente richiama la storia di Ace nell’era del Settimo, appunto un “lupo” di Fenric. Rose diventa fondamentale per il Dottore, perché è quella che segna il suo vero ritorno allo status quo: noi potevamo vedere le puntate della classica sui viaggi del Dottore con i propri amici umani (occasionalmente umanoidi), quando Doctor Who se n’è andato dagli schermi il Dottore è stato un soldato in una guerra e ora con Rose/Rose torniamo di nuovo alla formula di partenza. Non che il film non abbia un proprio lascito: il rapporto tra Dottore e Rose, infatti, va oltre il platonico. I due si scambieranno un unico bacio ed era necessario per assorbire l’energia del TARDIS presente in Rose, ma sono soggetti a frequenti gelosie quando l’altro richiama le attenzioni di terzi. La serie sembra estraniarsi però dal concetto di coppia tradizionale: Rose ha una relazione con Mickey Smith, ma se non bastasse il suo scappare con il Dottore, la sua richiesta di adottare Adam nel team TARDIS partirà da un interesse sentimentale; per contro anche il Dottore riceve le attenzioni di Jabe, la donna albero e di Lynda. Ovviamente i preconcetti di questo tipo vengono completamente polverizzati dall’arrivo di Jack Harkness, ma andiamo con ordine.
Ebbene sì, sto per parlare di Adam: come quasi ogni altro elemento anche lui ha un significato importante per la storia, per quanto il suo personaggio soffra terribilmente per l’estetica spesso trash della serie, tipica dei primi 2000. Presentato come ragazzo che sogna le stelle e lavora per un multimilionario senza scrupoli, Adam si rivela immediatamente interessato a ottenere un tornaconto dai viaggi nel tempo, nello stile de “l’almanacco sportivo” di Ritorno al Futuro. La cosa importante, però, è che è la prima volta in cui un companion con secondi fini entra nel TARDIS: persino Turlough, che entra in contatto con il Dottore perché incaricato di ucciderlo non tradisce la sua fiducia. Adam è il primo e a ora unico “anticompanion” e serve a presentare la crisi centrale nell’arco del rapporto tra Rose e il Dottore, che avverrà con Father’s Day. Potete tornare a respirare, ho finito con Adam. Una buona storia chiede sempre che ci sia un conflitto centrale che l’eroe supera per diventare più forte e la dinamica tra i due protagonisti segue questo modello: il Dottore concede a Rose la chance di entrare a far parte della sua vita, si apre con lei in The End of The World e promette di proteggerla in World War Three, per poi trovare in lei una bussola morale in Dalek. Dopo che The Long Game mette la pulce nell’orecchio al Dottore, in Father’s Day arriva la vera e propria crisi: Rose vuole sfruttare il viaggo nel tempo per salvare il padre, morto in un incidente automobilistico quando era piccola, come spiegato in The Unquiet Dead. Oltre a essere un tema che valeva la pena affrontare – probabilmente la maggior parte delle persone desidera poter viaggiare nel tempo per una ragione simile – diventa anche un attrito tra i due, che verrà superato solo con The Doctor Dances. Jack Harkness diventa una gradita aggiunta al cast, interpretato dal brillante John Barrowman e fa da collante tra i due. Presentandosi come un’ulteriore separazione tra i protagonisti, evidente interesse romantico per Rose, spinge il Dottore a diventare più morbido nei suoi confronti per reggere il confronto, tensione che si spezza quando diventa chiaro che Jack non nutre sentimenti verso Rose, ma verso ogni forma di materia energia o variazione da questa presente nel creato. Jack è un uomo d’azione e diventa il braccio del gruppo, ma le sue conoscenze futuristiche lo rendono un aiuto tecnico per il Dottore. Questo rivitalizza la dinamica del “maschio dominante” nata nel rapporto tra quarto Dottore e Harry Sullivan (o discutibilmente con il Terzo e il Brigadiere), esemplificata in un rapido scambio in Boom Town, dove il Capitano illustra la tattica per mettere all’angolo Margaret, per poi essere prima interrotto dal Dottore che chiede chi sia in carica e quindi chiuso in battuta con “quello che ha detto lui!”. Nonostante l’impronta trash, l’umorismo di Russell T. Davies viene spesso usato per raccontare qualcosa dei personaggi: ne è un pratico esempio Jackie Tyler: quando la vediamo è un espediente comico, la grettezza della vita quotidiana, fatta di soldi e sessualità che si scontra con la fantastica vita del Dottore. In questo modo, però, conosciamo già il personaggio quando diventa utile per la trama e lo conosciamo nella sua veste peggiore possibile, in modo che non possa che risalire. I personaggi sono anche il motore delle storie, che si infilano spesso in un angolo da cui solo la crescita di un personaggio rende capaci di uscire. È il caso di Rose in Rose, di Cathica in The Long Game e di Margaret in Boom Town. È uno strumento usato in modo brillante, testimone delle capacità di Davies, che non si limitano alla sceneggiatura.
A differenza della serie classica, che vedeva una distinzione netta tra autori e produttori, la nuova serie vede la creazione della figura dello “showrunner” in Russell T. Davies, in effetti il produttore esecutivo, ma che si distingue per essere anche il principale scrittore delle puntate. Ben otto delle tredici puntate escono infatti dalla sua penna, ma eco della sua visione si ritrovano nelle puntate scritte dagli altri autori, segno di una prolifica collaborazione tra loro, più difficile nell’era classica per una quantità di motivi, primo la compartimentazione tra sceneggiatura e produzione, nonché le tempistiche della produzione, che vedevano le puntata andare in onda prima che le successive venissero ultimate. Fan sfegatato della serie, Russell ha scelto gli autori prendendoli dalla rosa di quelli che hanno contribuito a tenere vivo il mito di Doctor Who negli anni in cui era privo di un medium visivo: Mark Gatiss ha scritto storie per la Virgin, Rober Shearman firma alcune delle più meravigliose storie Big Finish (consiglio oltre a Jubilee The Chimes of Midnight), Steven Moffat è il visionario che prenderà il suo posto e autore di The Curse of Fatal Death, speciale con Rowan Atkinson nei panni del Dottore per Children in Need e Paul Cornell che ha scritto Human Nature, il libro che definirà la visione moderna del Dottore, poi adattato in puntata doppia.
Un altro uomo diventa però fondamentale per la serie, al punto che ritengo la sua partecipazione il più grande passo avanti dall’era classica: Murray Gold. Senza nulla togliere a motivetti orecchiabili che la serie ha avuto in passato, primo fra tutti il tema di apertura, Gold non si limita a creare una colonna sonora: la plasma attorno a ogni personaggio. Avete presente quando in un film Marvel parte il tema degli Avengers e vi si alzano i peli sul braccio? Questo è quello che definisco “lo stile Pixar”, ossia usare la colonna sonora per rimarcare concetti. Così Murray crea temi per i personaggi e li utilizza nel momento giusto. Prometto di fare le dovute ricerche e di scrivere un intero articolo sul lavoro di Gold, ma è evidente che, nomen omen, il suo lavoro vale oro e non è che destinato a migliorare nelle stagioni successive, dove avrà più esperienza, ma anche la possibilità di usare un’orchestra, invece di lavorare al sintetizzatore, come mi pare di capire abbia fatto nella prima (ho trovato informazioni contrastanti). Ciò non di meno, il tema del Dottore e “Hologram” (o “I Think You Need a Doctor”) sono tuttora pietre miliari della colonna sonora. Nella prima stagione ogni tassello va al proprio posto: regia, sonoro, sceneggiatura, recitazione e caratterizzazione. Una vera formula del successo che contiene tutto: l’arco del personaggio del primo Dottore, la sua avversione al male del Secondo, la responsabilità del Terzo, l’eccentricità del Quarto, l’alternanza al ruolo di protagonista dei companion del Quinto, il dramma della figura del Dottore del Sesto, la complessa struttura narrativa del Settimo e il sentimentalismo dell’Ottavo, senza lasciare fuori nemmeno quegli anni di oscurità. Doctor Who ha sofferto, è stato buttato a terra e ha tentato più volte di alzarsi, non trovando l’aiuto che gli serviva. Ma ora è in piedi ed è consapevole che può trovare una forza anche in quei momenti di sconforto e lo fa parlando di un personaggio che ha vissuto una storia analoga. Non c’è da stupirsi che risuoni con persone che hanno fatto esperienze simili. Come già detto, la serie mentiene propri elementi di satira, visti più esplicitamente in The Long Game, ma la critica ai “pezzi grossi” è estremamente costante. La storia vede spesso al Dottore, interpretato da Christopher Eccleston che arriva da famiglia operaia dall’area industriale del nord inglese, testimone il caratteristico accento, a membri della classe dominante: politici e poliziotti grassi e corrotti che si rivelano alieni flatulenti, il Jagrafess di Satellite 5 che controlla letteralmente il palinsesto e Henry Van Statten, un mostro la cui malvagità eclissa addirittura quella di un Dalek. Ironicamente, pare proprio che questo contrasto segni la breve era del nono Dottore: non si è veramente a conoscenza dei motivi dell’abbandono prematuro di Eccleston, ma pare essere sintomo di attriti con la BBC stessa. Quale che sia stata la ragione, Eccleston ha poi alzato una barriera tra sé e la serie, non partecipando ai comicon e non ritornando per il cinquantesimo anniversario, frustrante almeno quanto non avere Tom Baker in The Five Doctors. Recentemente, però, pare essere meno ermetico, avendo preso parte a qualche avvenimento e avendo menzionato di essere più incline a collaborare, ora che c’è un Dottore donna. Certo non promette bene che non abbia preso parte al recente video di supporto alla comunità medica, dove sono apparsi tutti gli altri interpreti in vita.
Il nono Dottore è stato semplicemente fantastico. Il giusto intermedio tra sobrio ed eccentrico, tra eroe e antieroe, tra azione ed introspezione. La serie avrà picchi di ascolti più alti e amo più altre ere dello show, ma non mi stupisco di come moltissimi indichinio il Nono come loro preferito: è la fresca boccata di ossigeno di cui la serie aveva bisogno ed è una vera sofferenza non vederlo ancora nelle puntate. Va anche detto che la prima stagione ne vale mille di altri periodi: l’avvicinamento a Rose, la crescita della fiducia nella razza umana, il mistero del Bad Wolf, il piano segreto dei Dalek, le conseguenze della Guerra del Tempo, la metanarrativa e la satira: ogni istante, ogni fotogramma è stato piazzato con cura e attenzione, in modo da rendere questa stagione semplicemente incredibile. È una stagione sola, ma è veramente più grande all’interno. Dalle ceneri del nono Dottore, però, la serie arriverà al secondo Dottore più iconico della storia: preparate il trench, perché tra sette giorni si parla di David Tennant!
~Six