The End of the World, 15 anni dopo!
Mi avevano avvertita, eh. “La prima stagione è di rodaggio, l’attore non è bello come Tennant, tu tieni duro per le prime puntate e vedrai che ne vale la pena”. Ma io non avevo deciso di guardare Doctor Who per prendermi una cotta per il protagonista o disquisire sugli effetti speciali. Nemmeno ero interessata alla fantascienza, all’epoca! Poi ho messo su “Rose”, ho strillato “Ma è il tizio di The Others!” e mi sono lasciata prendere per la mano, mettendomi a correre senza fermarmi tra un episodio e l’altro.
“The End of the World” è stata senza dubbio un’esperienza particolare, proprio perché non ero abituata al genere. Ho visto tante razze aliene diverse in un futuro estremo, e mi è sembrata una storia insieme divertente e commovente con quel tocco di mistero… insomma, perfetta.
Gli accenni musicali sono stati davvero epici. Se Britney Spears la conoscono tutti, il brano dei Soft Cell mi era ignoto e grazie al mio ragazzo dell’epoca scoprii Marc Almond come musicista, procurandomi la sua discografia e sviluppando una qual certa ossessione!
Il modo in cui il Dottore parla a Rose, guardando la Terra che brucia, mi ha incantata. Non ricordo l’intero svolgersi della trama, ma certi particolari mi sono rimasti impressi – ricordo il sacrificio della donna-albero, il dispiacere del Dottore, il suo volto così espressivo… e la follia di Cassandra, così simile a tanti altri umani di questo tempo.
E a questo proposito la storia di Cassandra, fissata con la propria purezza genetica al punto di ridursi ad una forma fragilissima e ridicola, totalmente incapace di sopravvivere autonomamente e colma di disprezzo e risentimento, non è così distante dall’origine dei Dalek, durante l’era del Quarto Dottore, precisamente in “Genesis of the Daleks”. Certo, i Dalek sembrano indistruttibili per via delle loro corazze, ma dentro non sono che molluschi inermi. Lo vedremo più avanti nella prima stagione, un Dalek vero, ma appunto già Cassandra rappresenta in modo efficace per i nuovi spettatori quello stesso modello di villain conservatore e controproducente.
QUARANTACINQUE MINUTI DOPO…
“Quello lì è blu”. La reazione di Rose davanti al suo primo alieno è esemplare. Ed è significativo come l’eccitazione iniziale si trasforma prima in stupore, poi in confusione e infine nella consapevolezza di aver commesso un errore: il Dottore è uno sconosciuto, lei ha accettato un passaggio e si è trovata in una situazione più grande di lei. Eliminate per un momento l’ambientazione fantascientifica e ritroverete una giovane donna spaventata sull’auto di un tizio incontrato in discoteca, mentre dal finestrino inizia a non riconoscere le strade.
Attraverso la conversazione con Jabe iniziamo intanto a scoprire la profonda sofferenza del Dottore, che si svela proprio nei suoi silenzi, nell’espressività del volto di Eccleston, comunicandoci malinconia ma soprattutto voglia di scoprire cos’è accaduto di tanto terribile nel suo passato. E a posteriori, ora che conosciamo la verità – svelata nel Cinquantesimo – ma anche che il Nono ne ricorda una versione molto differente – soffriamo per lui e vorremmo abbracciarlo, dirgli che è andato tutto bene.
Mi torna in mente uno dei motivi per cui questo episodio mi ha entusiasmata all’epoca: è impostato come un giallo classico, con il Dottore che utilizza uno dei “ragnetti” per scovare chi li ha introdotti sulla piattaforma per sabotarla. E io adoro i gialli, in qualsiasi epoca e… pianeta siano ambientati. Sto attualmente recuperando l’intera serie tv di Poirot e c’è una scena molto simile con un cane da caccia ne “Il mistero di Hunter’s Lodge”!
Un dettaglio per me molto importante: il sacrificio di Jabe. Sul finale della dodicesima stagione è stato detto di tutto, ma ciò che ha deluso moltissime persone è stata l’ultima scena con Ko Sharmus. Questo rewatch mi ha ricordato che il Dottore si è sempre trovato di fronte a scelte difficili e talvolta ha accettato che qualcuno desse la sua vita per salvare un numero maggiore di persone, mentre lui sarebbe sopravvissuto. Si è spesso nascosto dietro gli altri per tenersi la coscienza pulita. Ha anche slanci di pura abnegazione, come il Quinto Dottore con Peri e il Decimo con Wilfred, e forse speravamo che Tredici, con la sua innegabile somiglianza a quei due, avesse ereditato anche quel lato della personalità, ma… immagino che per un po’ dovremo sopportare le sue gigantesche contraddizioni!
E siamo alla fine. Rose piange la Terra distrutta con parole e lacrime cocenti, e il Dottore comprende che non potrà fare a meno di viaggiare con lei – quelle lacrime sono le stesse che lui non riesce a piangere per Gallifrey, convinto com’è di aver premuto quel grande bottone rosso. Attraverso di lei percepisce di poter elaborare quel lutto, di andare avanti, forse persino perdonarsi. Non può ricordare chi diventerà, ma in quel momento, guardando Rose, ritrova se stesso.
Ed è stato bello ritrovare questo episodio.