Rose, 15 anni dopo!
Il vero problema non è tanto cosa dire di Rose quindici anni dopo, quanto il come approcciarsi ad essa. Quindici anni sono tanti. Alcuni fan odierni erano troppo piccoli per averla vista allora e alcuni neanche erano nati. Il mondo era diverso. C’erano le mezze stagioni e qui era tutta campagna. No, ok, intendo il mondo televisivo. La serialità era diversa.
Il modo migliore è parlare di come io mi sono approcciato a Rose.
Io sono sempre stato un amante delle serie inglesi. In quel periodo iniziava a farsi sentire il nome di Steven Moffat. Proprio per lui ho iniziato Doctor Who, si diceva avesse scritto gli episodi migliori.
Ero un po’ spaventato dal fatto che fosse una serie con una storia lunghissima alle spalle e dal fatto che in Inghilterra fosse una vera e propria istituzione. Io non ne sapevo niente. Sapevo giusto che c’era una cabina telefonica blu (ma in Inghilterra non sono rosse?, pensavo) e che viaggiava nel tempo (ma questo l’avrò capito male, come fanno a usare una cabina del telefono come macchina del tempo? Come fanno a starci dentro? E, se fosse, che brutto che deve essere). Sapevo che il protagonista aveva una lunga sciarpa colorata perché fa una comparsata o due in Futurama e niente altro. Ma se in Inghilterra tutti conoscono Doctor Who allora la serie, anche con un nuovo inizio, darà tutto per scontato. Tutti laggiù sanno cosa è un Dalek (parola che avevo sentito da qualche parte). Io no. Come farò?
Inoltre è una serie di fantascienza che sfrutta pianeti alieni, mostri, viaggi nel tempo. Le serie inglesi brilla(va)no per recitazione e scrittura, non certo per gli effetti speciali. Avevo paura di trovarmi davanti una produzione dal valore discutibile, la versione inglese della Melevisione. Sia chiaro, la Melevisione è splendida, non vuole certo essere una critica.
Ecco lo stato d’animo con cui ho iniziato a vedere Rose.
Parliamo subito dell’elefante. Gli effetti speciali facevano effettivamente schifo, alcuni momenti sfioravano il ridicolo (uno tra tutti, il Mickey di plastica con i capelli disegnati). Ma anche questi avevano un certo qual fascino. Una leggerezza tutta inglese nel non prendersi sul serio senza tuttavia cadere nella parodia o nel grottesco spinto.
Ma i punti di forza! Oh, i punti di forza.
La puntata inizia con Rose, ovviamente. Due minuti con lei e già ero preso. Non a tutti il personaggio piace. Questo è comprensibile. Ma non si può negare che la sua introduzione sia efficace. Il lavoro, la sua vita, il seminterrato buio, i manichini. E poi una mano la afferra e… Run!
Ok, a quel punto ero un fan di Doctor Who.
Il resto è storia. Mickey, i siparietti di Jackey che mi fanno ridacchiare anche ora mentre scrivo (C’è uno sconosciuto nella mia camera! Si! Tutto può succedere… No!), la Coscienza Nestene. Il Dottore interpretato da Cristopher Eccleston è uno dei miei preferiti. I motivi li vedremo puntata per puntata, le recensiremo tutte. Ma già qui ha tutte le caratteristiche fondamentali. Ironico e sempre in movimento, leggero ma con una forza interna insospettabile. E il modo geniale con cui viene introdotto come mistero da risolvere… è un espediente vecchio ma funzionale e utilizzato al meglio.
Recensioni vere e proprie della puntata ne sono state fatte fin troppe. Tutte sicuramente più meritevoli di quella che potrei fare io. Voglio solo ricordare quanto bene Russel T. Davies reintroduce il Dottore e il Tardis, come non si resti per niente spaesati. E di come si prenda il suo tempo. La Guerra del Tempo, i nemici storici come i Dalek, la distruzione di Gallifrey, sono tutti elementi introdotti con il contagocce, uno alla volta. Nessuna fretta, nessun sovraccarico di informazioni.
Dopo quindici anni la mitologia daviesana è potente quanto quella della serie classica. Possiamo dire che sia classica essa stessa. Questo è il vero valore di Rose. Aver iniziato una narrazione in cui ci si tuffa ormai rapiti, ma con la sensazione di esserne stati parte per tutta la vita.