THE WITCHFINDERS, recensione di Saki
Il nostro team TARDIS è a questo punto, per usare la definizione di Graham, una vera “flat team structure”, sempre più capace a interagire con il nuovo, l’antico e lo sconosciuto che di volta in volta si trova davanti. Scopriamo ogni volta una sfumatura della personalità di ognuno, non solo di fronte ai grandi avvenimenti ma anche ad una frase o ad un comportamento – penso alla perspicacia di Yaz di fronte allo stato d’animo di Willa, o a come Ryan reagisce alla proposta del re di prenderlo con sé.
Ciò che mi ha colpito di The Witchfinders è che per la prima volta, in un episodio storico di questa stagione, i villain hanno motivazioni profonde, a più livelli, e ognuno di loro si è avvicinato ad un’ideologia estremista per ragioni diverse. Non sappiamo esattamente perché Krasko sia razzista, o come Manish abbia ceduto all’odio religioso che imperversa nella regione.
Becka e re Giacomo, invece, vengono attentamente “psicanalizzati”, finché il meccanismo che ha trasformato la loro paura in terrore e poi in paranoia non ci viene mostrato – da una parte la vergogna, il bisogno di controllare gli altri quando non si può avere controllo su se stessi; dall’altra un doloroso passato familiare e la pesante responsabilità della corona, una fonte di orgoglio che è al contempo una maledizione.
La differenza è davvero notevole. Contrapporre il bene al male può essere efficace, ma non colma il divario tra vittime e carnefici; ma mostrare nel dettaglio come l’una si può trasformare nell’altro è fondamentale nel costruire un ponte solido tra le diverse realtà. Perché “siamo tutti uguali. Tutti abbiamo bisogno di certezza, sicurezza, di credere che le persone siano malvagie o eroiche, ma non è quello che sono”.
Ma il particolare più importante della puntata, il vero colpo di scena, la conferma definitiva, è nascosto in piena vista… alla luce delle torce ribattezzate “armi anti-Morax”: il nuovo cacciavite sonico funziona sul legno. Abbiamo da rifletterci su fino alla prossima puntata!
– Saki