KERBLAM!, recensione di Saki
Ragazzi, che puntatona. Una meraviglia di storia, un mistero che si rivela pian piano, insieme classico e originale; un perfetto mix di azione e metodo, di humour e drammaticità.
La personalità del Tredicesimo Dottore si sta delineando meglio, tra l’altro. Sappiamo già che è estremamente empatica, ora abbiamo la certezza che sia anche impulsiva in modo vergognoso. Non pensa a tutti i dettagli di un piano – i Group Loop che avrebbero segnalato la loro presenza nell’ufficio di Slade – e si fa trasportare dalla propria emotività, proprio come in The Tsuranga Conundrum quando voleva a tutti i costi raggiungere subito il TARDIS.
Ha insomma i suoi difetti e le sue difficoltà, li ammette senza problemi e non lascia che la fermino nel fare ciò che è sicura sia giusto. In questo Ryan sta imparando il suo esempio, quando affronta le pericolose acrobazie del centro di consegna nonostante la sua patologia, incoraggiato anche da Yaz.
A proposito, Yaz. Finalmente la vediamo sfruttare il suo addestramento da poliziotta, quando tiene fermo Charlie nel finale (d’accordo, poi si distrae e lui fugge, ma ricordiamo che è ancora in prova). E quando, più tardi, si rende conto del sacrificio di Dan, siamo coinvolti e consapevoli quanto lei dell’importanza di conservare la nostra umanità, la nostra empatia, quella che anche i robot del sistema Kerblam! sono programmati per provare nei nostri confronti, seppure in termini pratici e non strettamente emotivi. Tutti dimostrano di tenere al prossimo, ognuno secondo la sua natura: Judy, fiera delle sue responsabilità verso i dipendenti; Kira, che ogni giorno pensa alla felicità dei clienti; persino Slade che investiga in segreto sulle crescenti scomparse, persino il sistema che ha chiesto aiuto al Dottore e cerca di neutralizzare Charlie come può e sa. La shockante morte di Kira, l’unica programmata appunto dal sistema, è funzionale a salvare altre vite, inclusa quella di Charlie se ci pensiamo, perché dovrebbe portarlo a cancellare il suo piano – proprio come poi cercherà di fare il Dottore, facendo leva su un’empatia purtroppo inesistente.
Eppure Charlie non è uno psicopatico: non è esente da emozioni, si innamora, ha a cuore il benessere e il futuro della sua generazione. Non è molto diverso da un altro bel villain della nona stagione: Bonnie, anche lei una giovane terrorista che incentra la sua vita su ciò che crede il bene superiore.
E, proprio come lei, non pensa al dopo. Alle famiglie dei colleghi e dei clienti uccisi, al dolore lancinante che pure lui sente in quel momento.
Il Dottore ci prova. Il Dottore fallisce. Il Dodicesimo non si era arreso, con Bonnie, le aveva cancellato la memoria ancora e ancora finché non aveva capito la lezione. Ma qui non c’è tempo di ripetersi, non c’è modo, questo è il ritmo della puntata – il ritmo di una catena di montaggio, puntuale, perfetto nella sua implacabile drammaticità. Fino alla conclusione, terribilmente amara, ma a suo modo serena.
E lo sguardo di Graham nell’ultima scena è un po’ lo sguardo di tutti noi, timorosi davanti ai ricordi di una brutta avventura, ma con quella vocina dentro che ci sussurra di sfidare la sorte, di ributtarci nella mischia, di tornare a viaggiare.